domenica 15 aprile 2012

Spreco alimentare e perdita fisiologica 4/4

Con questo post finiamo la carellata sulla trattazione dell'argomento dello spreco alimentare.

<<  Caso studio: modello Last Minute Market

Questo modello lo consideriamo una delle forme di “scarico” psicologico nel caso etico di spreco alimentare ed ha una precisa origine: «[…] è stato studiato all’Università di Bologna e ha come referente capofila il Professor Andrea Segré della Facoltà di Agraria. Lastminutemarket.org nasce nel 2003 ed è una società partecipata dall’ateneo di Bologna e da nove ex studenti. [Il sistema] elaborato dall’ateneo di Bologna si basa sul riutilizzo delle eccedenze alimentari a “chilometro zero”, cioè si cerca di utilizzare questi alimenti in una struttura poco distante da dove è stata donata. Questo modello, che ha una quarantina di applicazioni in tutta Italia, consente anche a chi ha prodotto l’eccedenza di migliorare il risultato economico in quanto riduce i costi per lo smaltimento dei rifiuti» (Craighero, Corriere della sera, 08 aprile 2008).
«In Italia, secondo il Professor Segré, si potrebbero riuscire a salvare, in un anno, 244,252 tonnellate di cibo per un valore di quasi un miliardo di euro, fornire 3 pasti al giorno a 636.600 persone con risparmio di 291.393 delle tonnellate di CO2 prodotte a causa dello smaltimento del cibo che diventerebbe altrimenti rifiuto» (Rita Querzè, Corriere della Sera, 04 gennaio 2010).
Viene messo in evidenza che il modello a chilometri zero presenta il vantaggio di evitare altre manipolazioni per il recupero del cibo, così da abbattere il costo più alto che è quello della manodopera. Inoltre, visto che il prodotto non viaggerà per lunghe distanze, avremo anche un basso impatto ambientale.
Vi è quindi la ricerca di soluzioni che riducano lo spreco, che diano oltre all’equilibrio economico, anche una giustificazione di tipo morale per un ricercato “equilibrio” di tipo psicologico.
«“Allora non capivo bene, ero ancora un bambino. Eppure tutto quell’arancione e quel rosso... mi chiedevo: come è possibile che si distruggano degli alimenti? Perché buttare via, anzi distruggere, dei prodotti che si potrebbero mangiare? […] Fin dai primi anni ‘70 quando ero un bambino – racconta il Prof. Andrea Segré – mi sono impressionato davanti alle montagne di agrumi interrate da grandi bulldozer. Poi quando, da studente, nel 1989 iniziai a studiare le aziende agricole cooperative mentre ero in Germania dell’Est, mi domandai come potevo intervenire nell’agricoltura sociale con un sistema virtuoso che recuperi le eccedenze alimentari trasformandole non solo in risorse, ma anche in “beni relazionali”. È da questi interrogativi e studi che è nato il modello di ricerca Last Minute Market (LMM)” [...]» (Craighero, Corriere della Sera, 08 aprile 2008).
Da questa intervista rilasciata dal Prof. Segrè, ideatore del Last Minute Market, deduciamo il processo etico che ha portato allo sviluppo dei suoi progetti. Anche in questo caso troviamo un fattore scatenante che impressiona l’osservatore influenzando la sua percezione della situazione tramite uno stimolo dei recettori sensoriali: il colore.
Il meccanismo può essere messo in relazione, con un  parallelo, con il colore delle carni (rosse), elemento che influenza fortemente i vegetariani nella loro percezione della sofferenza dell’animale; il conseguente disagio psicologico provoca quindi la ricerca di una soluzione.
Nel caso di Segré la risposta al problema è stata formulata nella creazione del progetto LMM che, oltre a dare un “sollievo” psicologico a tutta la serie dei vari operatori coinvolti, ha una fortissima valenza dal punto di vista della pax sociale. È forse proprio quest’ultima la ragione per la quale questo sistema di recupero delle eccedenze funziona. Infatti, il disagio etico del singolo non è necessariamente correlato ad una esigenza della società o ad una sostenibilità economica, ma la soluzione può, come in questo caso, implicare un comportamento legato ad un problema che la società esprime. In altre parole, le eccedenze sono una realtà produttiva che può dare dei problemi economici e ambientali; la ridistribuzione, fatta in questa forma, ha più che altro una valenza sociale, economicamente sostenibile per le modalità utilizzate e importante elemento di equilibrio psicologico per il soddisfacimento dell’etica alimentare.
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Pensare di riuscire a “trasferire” le eccedenze e le sovrapproduzioni nei paesi affamati (ad esempio le arance ed i pomodori dall’Italia all’Africa) è una sciocchezza, oltre che un’utopia; la raccolta, la trasformazione e soprattutto il trasporto dei prodotti alimentari hanno dei costi altissimi e quindi questa soluzione è improponibile per due ragioni:
- c’è un impiego di energie necessario al trasporto ed all’eventuale trasformazione (per impedire il deperimento del prodotto) che deve essere pagato da qualcuno, e se quello sforzo non è coperto economicamente, non si sposta nulla;
- questa è un’ulteriore attività umana che produce inquinamento per trasportare del materiale che non da nemmeno reddito.
Del resto chi produce il prodotto alimentare, lo consuma e lo scambia, e gli altri non possono far altro che stare a guardare.
È impossibile recuperare tutto, quindi, ma dal punto di vista economico dobbiamo considerare che, per recuperare del cibo, certe volte il consumo è superiore al beneficio.
E poi, chi pagherebbe questo sforzo? Teoricamente dovrebbe farlo chi consuma, ma molte volte il destinatario del bene recuperato non è in grado di pagare o di agire per quella funzione: poveri, disadattati, anziani non autosufficienti. Fuori dall’utopia del credere di poter recuperare tutto, il vero problema è il costo della manodopera e del trasporto.
L’idea di poter recuperare ogni cosa soprattutto in campo alimentare è illusoria. L’alimento, più di ogni altro prodotto commerciale, è soggetto a deperimento e questo può portare anche a problemi nella salute dell’uomo.
Nelle campagne di sensibilizzazione contro lo spreco alimentare si instaurano anche dei cortocircuiti culturali, infatti alle volte si incitano i cittadini a consumare anche prodotti scaduti o cercare di recuperare alimenti non completamente edibili o che hanno iniziato un processo di decomposizione “per non sprecare”. Questo è contro le regole basilari della sicurezza alimentare. Anche se la maggior parte delle volte non hanno conseguenze, questi comportamenti possono creare dei rischi per la salute, principalmente di tipo microbiologico (intossicazioni, infezioni, parassitosi ecc.) ma anche di tipo chimico (ad esempio consumando matrici biologiche ossidate e irrancidite che introducono anche radicali liberi) per le alterazioni subite dai cibi. >>

(Testo tratto dal libro "Il Piatto Piange" di Andrea Meneghetti vedi qui)

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