venerdì 11 maggio 2012

Ortoressia Nervosa 1/3

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Ortoressia Nervosa

L’ortoressia nervosa può essere definita come l’ossessione per il cibo salutare. È considerata un disturbo dell’alimentazione ma non è ancora ufficialmente riconosciuta dal mondo psichiatrico e quindi medico. La sua caratterizzazione ha quindi dei confini ancora piuttosto labili e non se ne conoscono tutte le cause e la sintomatologia. La prima morte ufficiale per ortoressia è quella di Kate Finn, scomparsa nel 2003 (Ravizza, Corriere della Sera, 20 aprile 2006). È una patologia che colpisce maggiormente gli over 30, tende ad essere più diffusa tra gli uomini e tra le persone di buon livello culturale.
L’ortoressia può essere considerato un problema psicologico: nevrosi del mangiare sano. Si tratta di un disordine ossessivo compulsivo della personalità che nasce con una sempre maggiore attenzione alla qualità del cibo (a differenza degli altri tipi di disturbi alimentari che danno invece attenzione alla quantità).
Questa condizione patologica è stata per la prima volta descritta nel 1997 dal medico californiano Steven Bratman. L’ortoressico si impone severe restrizioni alimentari che possono arrivare ad includere il divieto di toccare zucchero, sale, caffeina, alcool, frumento, glutine, lieviti, soia, mais e prodotti lattiero-caseari per non parlare di tutti quegli alimenti che nella lista degli ingredienti in etichetta riportano gli additivi che sono introdotti dalla lettera “E” con il loro numero specifico accanto.
L’ortoressico instaura chiaramente un rapporto distorto con il cibo, iniziando a scartare ogni alimento che viene considerato “cattivo” (idea che è del tutto personale, c’è quindi una percezione distorta). I vegani ed i crudisti sono dei seri candidati per sviluppare questa malattia che si annuncia in modo così ossessivo da portare il soggetto ad un senso di superiorità nei confronti del mondo. Si inizia con l’escludere dalla propria dieta i cibi che entrano in contatto (parola chiave) con pesticidi o con qualsiasi additivo artificiale e pian piano i criteri di ammissibilità diventano sempre più restrittivi. Alla fine l’ortoressico consuma il suo pasto in solitudine (caratteristica comune anche all’anoressia e alla bulimia), si isola socialmente e arriva ad assumere una dieta talmente povera da riportare gravi danni sul piano nutrizionale. Gli elementi che fanno “impressione” all’ortoressico non sono le grida di dolore dell’animale macellato o il colore rosso-sangue delle carni, come accade nel vegetariano, ma è la paura di venire contaminato, avvelenato. Viene quindi esclusa aprioristicamente la capacità del nostro corpo di detossificarsi e di auto-equilibrarsi. Quello che sottolinea l’estremizzazione del comportamento e quindi la nevrosi è il fatto che, tra l’altro, non può esistere una contaminazione zero degli alimenti. Inoltre, le tossicità intuíte sono di vario tipo e quindi la ricerca di un cibo “sano” in assoluto nasconde una nevrosi personale: potrebbe essere una negazione del cibo come piacere mascherato da un falso amore per se stessi e per il proprio corpo.
Detto questo, che ricalca a gradi linee ciò che si può finora trovare a proposito di questo disturbo, si propone anche un’altra lettura: l’ortoressico è una persona che tende ad evitare di entrare in contatto con il mondo che è sporco, pieno di ingiustizie e violento. Il cibo rappresenta l’esterno e non voler sporcarsi significa non voler accettare che il mondo sia ingiusto, corrotto, sporco (comportamento mediato dall’etica personale e da una percezione distorta dell’intorno). Non si vuole accettare la responsabilità di fare certe scelte anche dolorose e difficili, si nega quindi che il corpo abbia la funzione di processare il cibo, dividendone le componenti tra quelle utili e quelle dannose; per corrispondenza l’ortoressico non accetta di dover fare determinati compiti, anche gravosi, e di entrare in contatto con realtà sociali che non condivide o che non riesce ad accettare. Ma il vivere e lo stare con gli altri comporta questo sforzo, vitale e necessario. L’atteggiamento dell’ortoressico è però anche, in altri termini, una paura della morte e non soltanto il non voler prendersi le responsabilità della violenza che comporta la vita.
Un altro elemento di estremo interesse è che l’ortoressia si può leggere anche come la necessità di trovare nuove pratiche spiritual-nutrizionali, necessarie per l’equilibrio psicologico di alcuni soggetti. Solo che l’ortoressico è nel contempo giudice ed imputato di se stesso, in una spirale che porta all’autodistruzione. Il continuo ripetere le sue credenze sul cibo sembra quasi un “mantra” che serve ad occupare la mente per non lasciare lo spazio per affrontare veramente la sua situazione e le sue incongruenze, in una estrema e forte esigenza di coerenza.
Essendo geneticamente “programmati” a credere in qualcosa, persa una stretta connessione con la religione (perché troppo razionali per crederci ancora, con dettami non più adeguati allo sviluppo odierno, troppo pochi con valore assoluto e autorità religiose che non riescono più a mostrare un comportamento coerente), rimane la necessità di qualcosa a cui aspirare e la soluzione è trovata aumentando l’attenzione sulle regole alimentari. Non è detto che tutti gli ortoressici abbiano abbandonato la religione (sarebbe utile un’indagine su questo), ma sicuramente in queste regole trovano un rafforzamento alla loro esigenza comportamentale.>>

(Testo tratto dal libro "Il Piatto Piange" di Andrea Meneghetti vedi qui)

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