martedì 3 luglio 2012

Impatto ambientale del trasporto

<< Impatto ambientale del trasporto

A causa della struttura della società, della specializzazione del lavoro e dell’umanizzazione del territorio, le aree di produzione degli alimenti non coincidono con i luoghi di consumo degli stessi. Gli alimenti, quindi, per essere portati ai consumatori, necessitano dell’utilizzo di combustibili fossili e vengono trasportati anche per migliaia di chilometri.
Negli ultimi anni si è sviluppata la percezione che ciò sia molto impattante per l’ecosistema e molti si interrogano sulle possibili soluzioni: «Da anni nel Regno Unito si è avviata una discussione sui food miles, cioè sui chilometri percorsi dal cibo prima di arrivare sui banchi di vendita. Il cibo che viaggia è produttore di costi occulti e inquinamento derivanti dai processi di distribuzione, perciò comincia ad affermarsi l’idea che il cibo non possa essere giudicato solo per attributi come qualità, aspetto e prezzo, ma anche in base ai chilometri percorsi per arrivare ad un determinato punto vendita» (Franchi, 2009:120).
Il primo aspetto da valutare è che l’aumentata percezione del problema sorge grazie a studi scientifici e propaganda diffusa sulle problematiche connesse alla distribuzione commerciale. Il problema dell’impatto ambientale si lega a ogni genere di prodotto, ma il cibo, non essendo un bene ad uso ripetuto o strumentale, catalizza su di sé più perplessità e stimola un dibattito che ha delle valenze di tipo etico sui seguenti punti:
- emissione di CO2 nella produzione e nel trasporto;
- consumo energetico;
- inquinamento atmosferico;
- congestione del traffico;
- incidenti stradali e perdite in vite umane oltre che in prodotti;
- inquinamento acustico.
Tra le conseguenze vi è la richiesta, da parte di molti, di una normativa che imponga la  riduzione della possibilità che il cibo venga trasportato per lunghe distanze.
Un fenomeno che esprime tale esigenza è il caso dei cibi a “km zero”, cioè di quegli alimenti che vengono venduti in un’area molto vicina a quella di produzione. Su questo argomento, che necessiterebbe di un approfondimento (soprattutto in merito al reale effetto di questa opzione sull’impatto ambientale), diremo soltanto che la richiesta di questa modalità commerciale è sicuramente mediata da una forte caratterizzazione etica, specie in chi acquista questi prodotti. La necessità di credere di fare una buona cosa sollecita questo tipo di acquisti e anche la scelta di alcuni produttori di vendere in un determinato canale.
Dall’altro lato, un aspetto da considerare è che la distribuzione commerciale crea ricchezza. Vietare al cibo di viaggiare impoverisce il mondo sia nella disponibilità quantitativa di derrate e potenzialità nutrizionali, che di ricchezza di territori che non possono ricavare reddito e valore aggiunto sulle loro produzioni. Sarebbe da domandarsi, ad un certo punto, perché il prosciutto crudo italiano può viaggiare e creare economia, mentre il vino cileno o le susine sudafricane non lo possono fare. La risposta non è facile da trovare perché implicherebbe ulteriori dubbi etici nella individuazione delle fasce di popolazione che possono consumare determinati prodotti e a certi prezzi. In ogni caso, è difficile vietare per legge dei consumi (negherebbe lo sviluppo e la democrazia), ma una evoluzione legislativa per favorire la produzione ed il consumo dei prodotti a “km zero” è auspicabile, ed è un trend che sta prendendo piede in tutta Europa come nel resto del Mondo.
Ancora, è errato pensare che i prodotti alimentari siano disponibili ovunque; in primo luogo, non tutte le aree della terra producono a sufficienza: non tutte sono in grado di produrre tutte le sostanze nutritive necessarie, che possono venir meno in determinate stagioni, o  ancora a causa di fenomeni naturali (siccità, alluvioni, grandine ecc.); inoltre ci sono zone della terra “difficili”, dove non crescerebbe nulla, ma che pure sono umanizzate perché producono, ad esempio, materie prime; qui il cibo deve per forza essere trasportato.
Il cibo deve quindi viaggiare. Per assurdo, se non viaggiasse forse non sarebbe nemmeno cibo (che abbia fatto un chilometro o diecimila), almeno nei termini in cui noi lo consideriamo tale.>>

(Testo tratto dal libro "Il Piatto Piange" di Andrea Meneghetti vedi qui)

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