martedì 5 giugno 2012

L'evoluzione nella percezione degli animali


<< Caso studio: evoluzione nella percezione degli animali

Si vuole considerare ora questo tema che si collega all'animale che può essere considerato, in contemporanea, sia come fonte nutrizionale ma anche come una categoria di essere vivente che entra nella nostra vita come elemento di compagnia.
Partiamo da un caso che ha fatto scatenare l’opinione pubblica italiana e la cui eco si è ripercossa anche su testate giornalistiche internazionali: un collaboratore della RAI, durante una trasmissione, ha proposto una ricetta tradizionale per cucinare il “gatto”. Il presentatore è stato sospeso a seguito delle proteste di telespettatori, di associazioni animaliste e per l’intervento di un rappresentante del governo. L’episodio, che potrebbe per certi aspetti sembrare folcloristico, in realtà ci aiuta a scoprire molto sulla nostra etica alimentare e sull’evoluzione che ha avuto nel tempo.
Per analizzarlo introdurremo delle domande che ci aiuteranno ad inquadrare il problema.
Perché alcuni animali possono essere considerati alimenti ed altri no? Chi decide quale animale si può mangiare? Perché oggi non si mangia più il gatto? Ci sono animali che possono essere macellati e altri no? Chi lo stabilisce? Secondo quale principio? Gatti e cani sono esseri biologicamente superiori rispetto ad altre specie di animali edibili? Sono meritevoli di maggiore tutela? Che differenza c’è tra gatto e coniglio? (Quest’ultimo, per esempio è allevato in Italia a scopo alimentare mentre in Nord America e Gran Bretagna è considerato un animale da compagnia).
Vediamo di introdurre dei punti che ci servano da traccia teorica (o sommario):
1- L’evoluzione della società e della giurisprudenza sulla materia di rispetto degli animali.
2- Il cambiamento della percezione degli animali anche in rapporto agli animali da compagnia e di affezione.
3- Gli animali da compagnia come parafulmine delle nevrosi della società (visto che lo sono già nelle famiglie).
4- L’infantilismo della società.
5- La creazione di un mercato che sfrutta il disagio etico delle persone o la non evoluzione del pensiero (cibo e accessori per animali domestici, sviluppo dei relativi servizi veterinari; la politica e le associazioni di difesa degli animali).
6- La funzione dei media nell’impatto di una notizia e sulla percezione dell’animale.

Analizziamo i primi due punti. Dal punto di vista nutrizionale, l’animale gatto non ha subito modifiche e, seppur consumato in Italia fino al primo dopoguerra al pari del coniglio, ora la sua accettazione come alimento è molto ridotta nella popolazione.
Se in Gran Bretagna e nel Nord America si svela che in Italia si consumano conigli e cavalli per la nutrizione umana, la maggior parte delle persone esprime disgusto. Lo stesso accade se si racconta agli italiani che i cinesi mangiano cane e selezionano pure le razze migliori per questo scopo culinario. Questa è la conseguenza del fatto che ognuna di queste specie rappresenta un animale da compagnia (o di affezione) a seconda del Paese in cui ci troviamo.
Ne deriva che la percezione dell’animale è alterata rispetto alle altre specie viventi. La differenza tra un maiale ed un gatto non avviene in termini biologici, ma a livello cerebrale, psicologico; si tratta di etica personale, ma nel momento in cui è condivisa da molti (magari anche insegnata) si traduce in morale sociale.
La cosa può essere anche valutata da un altro punto di vista. Infatti il contadino si affeziona al suo maiale, gli vuole in un certo senso anche del bene, lo “protegge” e lo nutre perché, anche se sarà lui stesso a ucciderlo, questo animale procurerà l’alimento o la ricchezza per l’inverno; questo è un caso diverso di come si può strutturare un’etica nei confronti di un animale e dimostra che non c’è un modello univoco.
Va anche considerato che l’accrescersi delle possibilità economiche ha trasformato il gatto da animale semi-selvatico legato all’uomo in quanto limitava i danni provocati dai topi ai suoi raccolti, ad animale umanizzato. Da un lato la ricchezza ha consentito alle persone di mantenere un animale domestico e dall’altro il gatto (e il cane) hanno delle caratteristiche dimensionali e genetiche che lo rendono adattabile agli ambienti della vita familiare umana. Nel contempo la società ricca ha consentito un’evoluzione del pensiero e dell’affezione verso gli animali perché non c’era più la lotta per la sopravvivenza ma si è cercato di soddisfare altri tipi di esigenze.
Parallelamente sacche di popolazione, per lo più relegate in zone rurali e legate alla tradizione, non hanno accolto nella stessa maniera questi cambiamenti mantenendo la percezione arcaica dell’animale.
In questo contesto disomogeneo, è interessante osservare come la regolamentazione statale cerca di trovare un equilibrio sociale. Rimanendo sulla situazione italiana, ricordiamo due sue caratteristiche peculiari: 1) L’Italia è da sempre stata all’avanguardia nella legislazione. 2) A differenza di altre culture, quella italiana è caratterizzata da una forte empatia verso gli altri.
Non è di nostro diretto interesse, ma ricordiamo che l’ordinamento italiano tutela gli animali da affezione con la legge 281 del 1991 che nell’art.1 comma 1 recita: «Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente». L’articolo 544-bis del Codice Penale sancisce poi che «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale, è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi».
La legge italiana ha quindi delle evidenti sottigliezze e continuerà ad evolvere a seconda delle esigenze della società e del cambiamento dell’etica e della morale della stessa.
Anche a livello europeo la Convenzione di Strasburgo reca norme piuttosto severe nel campo della protezione degli animali; è interessante questa evoluzione legislativa sia a livello italiano che europeo, ma per quanto ci riguarda ci fermiamo qui.
In ogni modo, paese che vai, etica alimentare che trovi. In India la mucca è sacra mentre in altre parti del mondo è macellata a ciclo continuo oppure sottoposta a sforzi produttivi non indifferenti che ne riducono la longevità; in Africa, di sicuro in Camerun, la scimmia viene mangiata.
Cerchiamo ora di capire come la comprensione “dell’umanizzazione” dell'animale possa passare attraverso un’analisi neuro scientifica; sono due gli elementi che vanno evidenziati: 1) si è formata a livello di uomo una diversa percezione dell’animale; 2) a livello dell’animale, ad es. gatto, il comportamento umanizzato è la conseguenza di un adattamento che ha comportato uno sviluppo neuronale alternativo su una genetica pressoché immutata.
Fondamentalmente, i comportamenti umanizzati dell’animale sono dei riflessi condizionati ed incondizionati (anche semplicemente di tipo pavloviano) per garantirsi il cibo. L’animale quindi modifica il suo comportamento e alcuni soggetti umani lo interpretano (a loro vantaggio) come espressione di affetto.
Molte altre teorie del settore, invece, fanno una differenziazione degli animali (e degli esseri viventi in generale) in senzienti e non senzienti. Tutti gli animali però sono senzienti. Una distinzione tra specie edibili e non, fatta su questi presupposti, è quindi senza significato scientifico. È chiaro però che cambia il grado di sviluppo neuronale tra specie e specie, e ciò fa la differenza: riguarda la percezione della sofferenza dell’animale da parte dell’uomo, che si struttura in base al tipo di interazione e al coinvolgimento empatico che l'uomo ha con le diverse specie animali (infatti qualcuno non sopporta di vedere uccidere nemmeno un insetto).
Facciamo degli esempi e delle considerazioni. La differenza tra coniglio e gatto non è particolarmente evidente, le carni infatti possono venir confuse nel sapore e anche la struttura corporea, una volta scuoiata, è pressoché identica. Addirittura il gatto ha uno sviluppo neuronale maggiore rispetto a quello del coniglio, visto il rapporto che può instaurare con l’uomo, eppure in U.S.A. e Gran Bretagna il coniglio è considerato un animale domestico. Al tempo della guerra, in Italia, il coniglio era più “domestico” del gatto in quanto che il gatto veniva catturato e mangiato, mentre il coniglio veniva allevato e venduto per l’alimentazione umana. Anche i topi venivano mangiati durante i periodi di fame nera, ma non sono stati eliminati dalla alimentazione perché sono diventati animale da affezione, ma perché le carni non sono buone come quelle dei gatti e dei conigli.
Mangiare carne di cavallo in Gran Bretagna è considerata una depravazione, eppure in Italia è molto gradita, per quanto gli equini vengano impiegati sul territorio anche a scopo terapeutico. Da considerare che le mattanze di tonni vengono fatte regolarmente (anche di specie in via d’estinzione), ma nessuno si lamenta se ne viene proposta una ricetta in televisione, e del resto non c’è rapporto di affettività con questo tipo di animali. Il gatto non è una specie in via di estinzione eppure suscita più risentimento se ne viene ucciso anche uno solo rispetto a migliaia di tonni. Anche se i pesci non fanno rumore, soffrono egualmente quando vengono uccisi, ma all’uomo fa meno impressione e quindi non vi è presa di posizione in grado di influenzare l’opinione pubblica. Stesso discorso si potrebbe fare sulle aragoste immerse vive nell’acqua bollente, o per i maiali che sono intelligenti ed affettuosi quanto un gatto, eppure le attenzioni che gli riserviamo sono decisamente diverse.

Analisi dei punti 3) e 4). Lo sviluppo della legislazione sulla protezione degli animali da compagnia si può riscontrare anche in rapporto alle funzioni di questi animali nella società: sono efficaci in certe terapie; scaricano le nevrosi familiari e personali; catalizzano l’esigenza di esprimere affetto; fanno compagnia alle persone sole.
La società ricca ed opulenta ha al suo interno tutta una serie di patologie e disequilibri che alle volte gli animali domestici riescono a lenire compensando la perdita di alcune delle caratteristiche di solidarietà e convivialità che c’erano un tempo, anche per una struttura diversa della famiglia ed una diversa mobilità delle popolazioni. È la nostra una società parcellizzata che riversa le sue esigenze di affetto sugli animali che addomestica e a cui attribuisce dei comportamenti umanizzati di comprensione e corresponsione delle attenzioni che gli riserva. Forse è vero che gli animali riescono a capire gli atteggiamenti dell’uomo (o almeno alcuni dei suoi stati d’animo), ma rimangono semplicemente degli animali, con una genetica ed un comportamento che non sono completamente comparabili all'uomo.
Sugli gli animali domestici, però, si sfogano tutte le frustrazioni e le incapacità di vivere perché il rapporto con l’animale è diretto e meno mediato. È per mera esigenza personale che si interpreta il comportamento dell’animale in maniera umanizzata a seconda di ciò che ci manca nella vita: un figlio, un partner, un amico. Questi comportamenti sottostanno alle nostre incapacità a stare con gli altri, riducono le nevrosi della vita e sono uno sfogo per le paranoie. Questo denota anche un cronico infantilismo della nostra società che si mette al pari dell’animale perché non vuole crescere. Inoltre più di una scatoletta o di una carota questi animali di affezione non chiedono, e non serve essere maturi per venire accettati.
Una distorsione si verifica anche nell’affetto che si da agli animali con i quali il rapporto dovrebbe essere neutro. Siamo geneticamente programmati per avere sentimenti e sensazioni (che tra l’altro ci hanno resi più competitivi rispetto ad altre forme di vita della terra meno evolute neurologicamente di noi). Come conseguenza si scarica l’affetto “umano” (cioè destinato ad altri esseri della nostra stessa specie) sugli animali da compagnia, così da averne una percezione particolare (di conseguenza, umanizzata). È un atteggiamento culturale diffuso e che viene trasmesso ai bambini tramite la televisione e altri media, oltre che dai genitori e dalle istituzioni religiose. Molti bambini infatti subiscono uno shock quando scoprono che il loro tenero micetto gli ha fatto fuori il canarino o il pesciolino rosso. Nella cultura contadina ciò succedeva con meno frequenza.

Analisi del punto 5). Come conseguenza a tutto ciò che si è detto fino a qui, si crea tutto un mercato che sfrutta queste problematiche e questo infantilismo facendo leva sul disagio etico delle persone o sulla mancata evoluzione del pensiero, e la cosa assume una forte valenza economica. Viene quasi più insegnato ad amare un animale che ad amare l’essere umano; c’è quasi la venerazione dell’animale domestico al quale bisogna dedicare attenzioni e cure (interessante che molte volte si dimentica che l’uomo è onnivoro e predatore e che questi animali, soprattutto gatti e cani, ai quali diamo tanta attenzione, sono carnivori e se gli fossimo graditi o ci vedessero indifesi ci mangerebbero a loro volta).
Un settore economico che viene stimolato da questo tipo di cultura è quello degli alimenti e accessori per animali: c’è una scelta amplissima sul mercato, con tanto di catene distributive organizzate. Un aspetto che va sottolineato e che molti dimenticano è che gli alimenti che vengono acquistati per i gatti e i cani hanno delle percentuali di componenti animali negli ingredienti; spesso sono solo degli scarti della lavorazione alimentare umana, ma nei prodotti più raffinati se ne trovano di adatte a sfamare esseri umani. Da un punto di vista etico e morale dovrebbero esserci delle proteste veementi, come avviene nel caso della caccia alle balene o dell’utilizzo di cereali per fare combustibili. Ma nessuno protesta.
Contemporaneamente, le attenzioni che molti dedicano agli animali domestici non si avvicinano lontanamente a quelle che hanno per i loro consimili: crocchettine di pollo al vapore, profumi, cappottini ingioiellati, costose visite veterinarie e successivi trattamenti farmacologici comportano spese davvero notevoli che molti non farebbero per aiutare una persona indigente in difficoltà. Con ciò non si vuole dire che questi comportamenti siano sbagliati, anzi vengono enfatizzati perché esprimono un’etica: gratificano personalmente chi li fa. Un animale è più facile da seguire che un essere umano e non da più di tanto fastidio quando ci si è stufati di averlo intorno; al massimo lo si vende o lo si fa sopprimere.
Un altro “mercato” è quello politico. La politica interviene in materia perché crea consensi su queste ansie sociali: è più facile decidere come muoversi su questo tema (un caso simile è lo sport) invece di fare una analisi delle cose a 360 gradi. In altre parole, prendere posizione su un argomento che tratta di animali è più facile che farlo su uno che tratta di attività umane. Nessun politico promuove campagne mediatiche di sensibilizzazione per i lavoratori morti sui cantieri o tenuti in condizioni di schiavitù, perché ci sono troppi interessi in gioco.
Le associazioni ambientaliste sono un esempio di questo meccanismo ed è ovvio che sfruttino ogni occasione utile per farsi pubblicità per evitare di scomparire nel mare dell’informazione, e il settore degli animali domestici è un buon passepartout. Hanno esigenza di esistere nel mondo politico per continuare ad avere sottoscrittori di tessere e finanziamenti (che vuole dire posti di lavoro) e agiscono facendo leva sulle ansie della gente che le riversa sugli animali come una pseudo-forma di amore.

Analisi del punto 6). L’importanza dei media nella vita della gente è molto alta. Le stesse argomentazioni usate in una chiacchiera in un bar o in un dibattito di una conferenza pubblica non farebbero alcun tipo di scalpore, ma se lo stesso tema è trattato a livello mediatico la gente tende a prendere una posizione più decisa, una posizione etica quindi.
È da sottolineare il fatto che se da un lato non si può parlare o mostrare immagini troppo cruente che rappresentino animali, viene però concesso di fare del brain washing mediatico conducendo delle campagne di sensibilizzazione contro il maltrattamento degli animali con modalità discutibili (non è nel nostro interesse approfondire oltre; si può rileggere il capitolo sulle pubblicità che risultano “violente” per impressionare lo spettatore). Quello che preoccupa invece è la distorsione del messaggio che viene veicolato, che allontana dalla realtà e rende schiavo lo spettatore.

A questo punto, dopo aver fatto un quadro veloce ed aver spiegato alcune dinamiche, possiamo tornare ad analizzare il caso specifico del collaboratore Rai sospeso per aver proposto una ricetta per cucinare il gatto. Le reazioni isteriche di alcuni telespettatori hanno poi, a cascata, stimolato l’intervento delle associazioni animaliste e poi del sottosegretario all’ambiente che non poteva rimanere a quel punto neutrale, scatenando il posizionamento dell’opinione pubblica. Molti dei telespettatori che hanno protestato per la ricetta a base di gatto hanno sicuramente pensato al gatto che hanno in casa al quale sono molto affezionati, anche se appariva chiaro che nessuno aveva intenzione di mangiarlo; alcune paure si sono poi concentrate sul fatto che qualche ragazzino potesse mettersi a provare a fare degli esperimenti su gatto del vicino. Moltissimi hanno anche preso le difese del presentatore dicendo di aver gradito l’intervento ma con atteggiamenti molto decisi e denigratori nei confronti degli altri, quasi che su questo terreno neutro, i distinguo e le mezze misure potessero saltare diventando, ancora una volta, un parafulmine delle nevrosi sociali.
Tutto ciò ha poi confermato la televisione come mezzo molto suggestivo dove certi argomenti, che possono essere presenti nella vita privata di tutti i giorni, vanno trattati con attenzione. La Rai, come si è detto, ha quindi sospeso il conduttore facendo mostra di avere controllo etico sui contenuti che propone. In realtà ha agito con decisione e fermezza su un argomento e su un fatto assolutamente marginale e dalle conseguenze culturali pressoché nulle. Nella stessa televisione di Stato sono proposti costantemente programmi che rasentano la pornografia o che sono politicamente scorretti ma su cui girano e gravitano tanti di quegli interessi che, anche se ci sono proteste, nessuno si azzarda a fare alcunché. Da valutare, inoltre, che la trasmissione è una gara fra cuochi ad ora di pranzo e ogni giorno sono manipolati pezzi di carne fresca di altri animali, e nessuno dice niente. Ma la solo evocata idea di una ricetta a base di gatto, e quindi non il suo consumo, fa inorridire e insorgere le masse.
Eppure la punizione inflitta al presentatore, colpevole di suscitare emulazione da parte dei giovani con effetti diseducativi, lascia davvero perplessi per due ragioni: si “esige” l’imposizione di una morale a chi deve ancora formare una propria etica; si nascondono le cose e la storia ai bambini ed ai giovani sottraendoli alla realtà, con conseguente rischio di disagi psicologici. Questa azione appare discutibile in sé e subdola in quanto mirata a garantire l’imposizione di un pensiero sotto la maschera della “protezione” per i più giovani.
In conclusione, possiamo dire che succede di tutto ed il contrario di tutto nel mondo di cui in parte ognuno di noi è fautore (fame nel mondo, mattanze di animali, sfruttamento di migranti ecc.) e poi si fa dell’idealismo su queste cose; così sembra avere più importanza un gatto randagio che un essere umano, e per molti lo è davvero: è più facile pulirsi la coscienza salvando un gattino che accogliere in casa un barbone disadattato. Non si vuol dire che si debba per forza aiutare gli altri, ma è la morale sociale che a certi livelli impone questo tipo di comportamenti come gratificanti e giusti e che noi dobbiamo soddisfare, con le nostre azioni.
Sembra valere di più l’idea che si ha sulla vita potenziale di un animale che di 100 uomini definiti clandestini, o di un embrione umano, perché la suggestione televisiva assieme alle nostre nevrosi ci fanno preoccupare ed agire sulle apparenze e non sui fatti. Tutto ciò è umano e legato ai nostri recettori sensoriali e all’elaborazione degli input cerebrali, tutto in funzione di soddisfare l’esigenza di riequilibrare a livello psicologico l’ingiustizia sociale che pervade la società e che ne determina anche la floridezza.>>

(Testo tratto dal libro "Il Piatto Piange" di Andrea Meneghetti vedi qui)

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